Commento sentenza 44 del 1999
Il tribunale di Verona è chiamato a pronunciarsi con la sentenza n. 44/1999 sulla questione sollevata dalla ricorrente Immacolata circa il cambio del proprio nome a favore di quello di Claudia, con gli effetti di cui all’articolo 454 c.c.
Ritiene,tuttavia,il ricorso infondato e inammissibile e, a sostegno della pronuncia, richiama l’art.166 del testo unico dello stato civile(.:d. 1 238/1939), che consente la rettificazione degli atti di nascita quando contengono nomi ridicoli o vergognosi o che recano offesa all’ordine pubblico, al buon costume o al sentimento religioso, riferendo quest’ultimo alla collettività solo e non anche al singolo individuo e la sua personale sensibilità.
A mio parere, una lettura dell’articolo di tal sorta è ingiustificatamente restrittiva nei confronti della persona singolarmente considerata, il cui diritto a poter essere chiamata con un nome che identifichi il suo proprio sentire e i suoi orientamenti ideali e politici,in specie contrastanti con la religione cattolica a cui il nome di nascita fa evidente riferimento, risulta indebitamente compromesso.
Una domanda sorge, allora, spontanea: può il sentimento collettivo prevalere su quello del singolo? O meglio,è giusto porre in una posizione di primazia il comune sentire quando l’interesse al cambio del nome è riferibile esclusivamente ad un soggetto? Il temperamento delle contrapposte esigenze è equo; il sacrificio del singolo giustificato?
Il giudice di Verona richiama, a supporto del giudizio, il riconoscimento della religione cattolica da parte dello stato italiano nei Patti Lateranensi prima e nel nuovo Concordato poi.
Ebbene, non è proprio dal Concordato che si estrapola il principio di laicità che regola l’ordinamento giuridico italiano?
Lo stesso testo costituzionale all’articolo 19 professa la libertà di religione non solo sotto il profilo positivo, come libertà di credere, ma anche sotto quello negativo, come libertà di non credere.
Eppure quest’ultima appare, a mio dire, ineluttabilmente compromessa laddove viene affermato che il sentimento religioso << non può essere offeso dall’attribuzione del nome Immacolata, ricevendo invece in tal modo riconoscimento e omaggio, per il tributo portato alla divinità il cui credo è il più diffuso nella collettività nazionale >> .
In ultima analisi, il tribunale fa riferimento all’articolo 9 c.c. sulla tutela dello pseudonimo, disponendo che della stessa possa avvalersi la ricorrente e non, invece, della più completa e idonea tutela del nome di cui all’art. 7 c.c.
Concludo, dunque, con una riflessione: il richiamo ad un tal tipo di tutela risulta davvero sufficiente per rispondere all’esigenza profonda, di cui nel caso in specie si fa portatrice la ricorrente Immacolata detta Claudia, di una identità fra la percezione che la stessa ha maturato di sé e la sua esteriorizzazione?
O si tratta piuttosto di una mascherata e ingiustificata restrizione della libertà personale?
Commento di uno studente
Correzione e commento del Prof. Cimbalo