Commento alla sentenza n° 44 del Tribunale di Verona del 1999
Relativamente alla sentenza n°44 emessa dal Tribunale di Verona in data 1 dicembre 1999, le riflessioni che ne scaturiscono sono le seguenti:
la norma invocata dall’istante, tale signora Immacolata, in forza della quale richiede che venga cambiato il suo nome e sostituito con quello di Claudia, è l’art. 166 del Regio Decreto 9 luglio 1939, n°1238 che afferma che ciò è consentito “quando sono stati imposti nomi ridicoli o vergognosi o che recano offesa all’ordine pubblico o al buon costume o al sentimento nazionale o religioso”. La signora, infatti, afferma di preferire il nome Claudia a quello impostole per nascita in quanto quest’ultimo richiama espressamente la religione cattolica rispetto alla quale reputa incompatibili i propri orientamenti ideali e politici. Posto ciò, non sembra condivisibile (a mio avviso) l’interpretazione che il giudice dà della norma e sulla cui base dichiara il ricorso dell’istante inammissibile e infondato. Nella sentenza si dice che non è individuabile alcuna delle ipotesi delineate dalla norma in quanto il sentimento religioso, avvertito come leso dalla signora, non è da considerarsi di carattere individuale, bensì collettivo ossia riguardante l’intera comunità nazionale. A questo punto risulta necessario soffermarsi sulla portata del concetto di sentimento religioso. Tale espressione fa “concettualmente” riferimento alla coscienza di ciascun individuo e dunque alla libertà di ognuno di autodeterminarsi in materia etico-religiosa; appare dunque pertinente l’invocazione dell’istante della libertà di coscienza del singolo, garantita – stando a quanto affermato dalla Corte costituzionale- dall’art. 19 della Costituzione e che può essere ricondotta alla più ampia libertà INDIVIDUALE di religione e di convinzioni (anche negative) che il medesimo articolo riconosce espressamente. Non è chiaro dunque da cosa si evinca che “il sentimento religioso” di cui all’art.166 del t.u. dello stato civile debba riferirsi esclusivamente alla collettività e non possa ricondursi anche e soprattutto in capo al singolo individuo. La sentenza sembrerebbe quindi ledere la fondamentale libertà religiosa individuale sancita dalla costituzione, lesione configurabile nel momento in cui imporre un nome (in cui ciascuno deve potersi sentire identificato) che contrasta con il proprio sentimento religioso (che va inteso in senso ampio e dunque anche negativo) equivale a comprimere tale libertà. Circa la contrapposta esigenza della collettività di identificare i componenti della comunità mediante il nome, per quanto effettivamente costituisca una necessità importante, dovrebbe coniugarsi con l’inviolabile e fondamentale diritto alla libertà religiosa che, nel suo nucleo fondante, possiamo far risalire all’art.2 della costituzione.
Ciò che emerge non è quindi l’incostituzionalità della norma considerata in merito al contenuto, quanto piuttosto la non conformità dell’interpretazione che se ne dà rispetto agli artt. 2, 19 della costituzione. Sarebbe dunque auspicabile una lettura costituzionalmente orientata della disposizione contenuta all’art. 166 del r.d. 1238/1939.
Commento di uno studente