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Commento alla sentenza 44/1999

Partendo da una considerazione puramente personale, ritengo questa volontà di cambiamento di un nome ‘non gradito’ una vera e propria richiesta dettata dalla superficialità e dal condizionamento psicologico derivante dalla società.  Molti dei nomi in uso hanno un origine antica, la quale può variare dal campo della mitologia greca a quello dei testi biblici; ciò però non implica un collegamento diretto o un approvazione delle ideologie che possono derivare dall’etimologia del nome posseduto (così come Elena non implica la volontà di tradire il marito causando in tal modo una guerra, Immacolata non implica di certo la volontà di una concezione derivante dallo spirito santo). Detto ciò, che il condizionamento della società sia pressante è fuori discussione e che la sensibilità di ognuno di noi è differente è indubbio.

Analizzando la questione con un occhio più critico, il richiamo dell’art. 166 t.u., purtroppo, a conti fatti, non può essere favorevole alla richiedente. Immacolata, infatti, non può essere considerato un nome ridicolo, vergognoso o recante un offesa ad ordine pubblico, buon costume o al sentimento religioso. Questo però nemmeno dà origine a ‘omaggio e riconoscimento per il tributo portato alla divinità il cui credo risulta essere il più diffuso’; è inoltre da rilevare che, con l’utilizzo di tali terminologie, comunque si rientra in una considerazione personale, peraltro differente totalmente da quella della signora Immacolata. Seppur con giustificazioni alquanto discutibili e alquanto di parte, vero è che se a tutti venisse concesso il cambiamento del nome per ciò che possono essere definiti ‘capricci’ il rischio diventerebbe quello di un numero troppo elevato di cause di tal genere, generando così un sovraccarico di cause in un ordinamento in cui le tempistiche non sono favorevoli. Per fare in modo che alla richiedente venga concesso il cambiamento del nome maggiore rilevanza dovrebbero assumere i diritti alla dignità, all’onore ed alla reputazione (con delle forzature non indifferenti, perché io per prima non li ritengo lesi). Ciò che in tal modo si potrebbe fare è di far rilevare maggiormente la dimensione più personale e intima di ogni soggetto (Il nome che ci troviamo, in effetti, non è stato da noi deciso e da questo potremmo trovarci in situazioni di disagio). Bisogna considerare comunque che la persona possiede un ‘valore sociale’ che dipende anche dalla percezione che gli altri ne hanno, questa dimensione sociale del soggetto può venire compromessa per varie ragioni e in virtù di ciò, qualora questo valore potrebbe essere considerato venuto meno per cause derivanti da un totale contrasto col proprio nome, chi sono i giudici per impedire un cambiamento? Necessario sarebbe dunque un analisi caso per caso, la quale miri a rilevare l’effettivo disagio derivante da tale situazione e se questo arrechi danno alla conduzione di una vita ‘normale e serena’. Vero è, però, che il codice civile all’articolo 9 dà allo pseudonimo le stesse tutele riservate al nome in caso in cui questo ‘abbia acquistato l’importanza del nome’, quindi, se l’interessata ha dimostrato l’uso continuato del nome Claudia sia nelle relazioni personali sia in quelle lavorative, può questo non essere considerato come tale?

In conclusione ritengo che non è di immediata e facile soluzione il quesito posto dal professore sul essere favorevoli o meno al cambiamento di un nome, nel senso che non ritengo possibile una risposta netta in quanto, oltre al fatto di non avere sicuramente le competenze necessarie e sufficienti, a dover essere commisurati sono una serie di principi, di valori, di considerazioni che per una ragione o per un’altra si trovano talvolta ad essere contrastanti fra loro.

PS: Il primo commento sui nomi è assolutamente ironico; anche in luce del fatto che l’immacolata concezione è una dottrina secondo cui Maria fu protetta dal peccato originale e quindi risulta lei stessa essere senza peccato.

Commento di uno studente

Correzione e commento del Prof. Cimbalo


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