Commento alla sentenza
La sentenza in esame prende le mosse dall’esigenza avvertita da un singolo individuo di modificare il proprio nome di battesimo poiché dallo stesso ritenuto inadeguato a offrire una reale e immediata presentazione di sé. La richiesta si giustifica alla luce dell’esistenza di un regio decreto del 9 luglio 1939, n. 1238, il quale all’art. 166 n. 1 consente la modifica del nome se questo risulta essere ridicolo o vergognoso o nell’ipotesi in cui rechi offesa all’ordine pubblico o al buon costume o al sentimento nazionale o religioso […].
Il tribunale di Verona non ritiene evidentemente che sussista alcuna di queste circostanze e in fase argomentativa evidenzia come il nome oggetto della questione, Immacolata, sia al contrario emblematico di un sentimento religioso, a suo dire, maggiormente diffuso sul territorio dello stato e al quale, necessariamente, ogni individuo vi riconduce onore e decoro. Il percorso argomentativo della Corte sposta quindi il fulcro della questione dal singolo individuo alla collettività, cosa lecita se si considera il dettato della norma, ma che nella pratica, a mio avviso, si risolve in un eccessivo sacrificio degli interessi del singolo di fronte a quelli della comunità.
Significativo, a mio parere, è l’aggettivo “vergognoso” utilizzato dalla norma, il quale lascia un ampio margine di interpretazione al pari del concetto di ordine pubblico o di buon costume; elementi, questi, che come è noto, sono estremamente soggetti al mutare della realtà e del periodo storico-sociale in cui si inseriscono nonché alla sensibilità di ciascuno. Di conseguenza è ragionevole pensare che il nome Immacolata possa creare fastidio e/o disagio in un soggetto che chiaramente ha espresso la propria lontananza dalla religione cattolica, cui il nome viene tendenzialmente ricondotto. Personalmente credo che il problema in questo caso sia soprattutto interpretativo: la Corte infatti concepisce la norma come esclusivamente funzionale alla rimozione di appellativi contrastanti con il senso religioso di una comunità, ma non ammette la tutela di ciò che è più “implicito” (ma che forse tanto implicito non è) , ossia l’interesse del singolo. È una lettura che si muove solo in un senso ignorando l’ampia portata che la disposizione invece potrebbe assumere se alla stessa di applicasse una visione più libera da influenze religiose e moraleggianti.
Nello specifico mi riferisco alla presunta connotazione positiva che il nome Immacolata possiede, considerazione decisamente arbitraria e che poco si addice all’attività di un tribunale di uno stato laico quale è il nostro. Ciò non significa che di fronte agli interessi del singolo il sentimento religioso debba necessariamente soccombere: un’adeguata valutazione, a mio avviso, avrebbe dovuto comportare una ricerca di equilibrio tra le esigenze contrapposte. Illustrando il discorso, infatti, non intendo in alcun modo negare la portata che il sentimento religioso ha nel nostro Stato, tuttavia credo che in questo caso specifico il ricorso allo stesso e la protezione accordatagli siano eccessivi e abbiano contribuito a spostare il punto di interesse della questione.
Il ricorso allo pseudonimo come compensativo della mancanza evidenziata è tutt’al più conferma di questo tentativo della Corte di trasferire l’attenzione da un polo della questione ad un altro, peraltro affatto rimunerativo del sacrificio che l’individuo si vede costretto a subire.
Concludendo, non credo sia adeguata nemmeno l’ipotesi per la quale, se si ammettesse la modifica del nome, ciò porterebbe a molteplici e confusionari cambiamenti dello stesso nel corso della vita di un individuo legati eventualmente a ragioni di carattere religioso: si tratta di una mera possibilità di cui non si può avere certezza e anche ammettendo che ciò accada, è l’interesse del singolo che assume un rango superiore rispetto ad esigenze di natura organizzativa e pratica.
Elaborato di uno studente
Correzione e commento del Prof. Cimbalo