Analisi della sentenza n° 44 del Tribunale di Verona del 1999
Il caso in analisi riguarda una signora, nata a Verona, che ricorre al Tribunale, ai sensi dell’articolo 454 c.c., chiedendo che le sia mutato il prenome di Immacolata posto dai genitori alla nascita. La ricorrente di fatto aveva già sostituito da tempo l’utilizzo del nome Immacolata con il nome comune di Claudia.
Il Tribunale di Verona rigetta però la domanda ritenendo che non sussistano i requisiti specifici richiesti dalla normativa di mutare il prenome di Immacolata ricevuto dalla nascita, seppur collegato alla confessione cattolica. La scelta del Tribunale è motivata dalla tutela dell’interesse della collettività a che la ricorrente sia identificata con il prenome attribuitole alla nascita.
Ritengo di poter effettuare le seguenti considerazioni in merito:
1)in primo luogo è inevitabile fare riferimento all’articolo 6 c.c., titolato “diritto al nome”, che recita: “Ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito. Nel nome si comprendono il prenome e il cognome. Non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome, se non nei casi e con le formalità dalla legge indicati.”
La disposizione vieta il cambio del nome, fatta eccezione dei casi espressamente previsti dal d.P.R 396/2000 agli artt. 84 e ss.:
-le modifiche del cognome per un mutamento della situazione familiare;
-le modifiche del cognome nelle ipotesi di cognome ridicolo o vergognoso;
-le modifiche del prenome a seguito del mutamento di sesso.
Da tali fonti si trae la conclusione che il nostro ordinamento non prevede espressamente il diritto a cambiare il nome.
2)In secondo luogo occorre osservare che l’Art 166 T.U. dello Stato civile, R.D. 1238\1939, consente la rettificazione degli atti di nascita quando contengono nomi ridicoli o vergognosi o che recano offesa all’ordine pubblico, al buon costume o al sentimento religioso.
A mio avviso tale articolo è connesso al Principio di Laicità, a sua volta definito dalla lettura di una serie di articoli della costituzione (Artt. 2,3,7,8,19,20: il cd. “microsistema” coniato dalla Corte Costituzionale). In virtù di tale collegamento mi sembra che tutta la vicenda potesse essere inquadrata sull’esigenza della tutela invocata dalla ricorrente (la quale vive con disagio l’accostamento del proprio prenome ad un credo religioso che non le appartiene), piuttosto che negare la richiesta motivata dall’interesse della collettività.
Oltretutto l’art. 19 Cost. (principio di libertà religiosa) non è solo da interpretare in chiave positiva quale facoltà di professare liberamente la propria fede religiosa, ma altresì in senso negativo, inteso come la libertà di non professarne alcuna.
Se si osserva il rapporto che sussiste tra Laicità e persona, appare logico che il principio estrapolato dalla Costituzione, che richiede un atteggiamento di equidistanza tra Stato e Confessioni religiose, andrebbe innanzitutto condiviso a livello individuale per poi riscontrarsi ed affermarsi nella quotidianità del soggetto. Del resto sappiamo che il Principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost. non va inteso solo in senso formale, ma anche in senso sostanziale, imponendo quindi allo Stato di rimuovere tutti quei vincoli che portano ad una diseguaglianza ed assicurando a tutti il diritto di essere liberi da vincoli di natura religiosa.
In conclusione mi pare che la sentenza del Tribunale di Verona nel rispetto letterale della normativa non abbia tenuto conto del diritto soggettivo della ricorrente e della sua volontà di non essere identificata con un nome che la colleghi ad una religione.
Il rigetto del Tribunale non ha permesso il cambio del prenome da Immacolata a Claudia, intendendo far prevalere l’interesse della collettività piuttosto che quello individuale e soggettivo, più rilevante, incisivo e sentito, della ricorrente.
Cosi facendo mi pare che non siano stati rispettati gli articoli 3 e 19 della Costituzione:
-mancato rispetto dell’art. 3 Cost. perché non è stato rimosso quell’ostacolo che fa sentire Immacolata diseguale rispetto agli altri cittadini;
-mancato rispetto dell’art. 19 Cost., che da un lato garantisce il diritto di professare la propria fede religiosa in qualunque forma, di farne propaganda e di esercitarne il culto e dall’altro tutela il principio di libertà religiosa negativa, la cd. “libertà di ateismo”.
Elaborato di uno studente