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Commento sentenza tribunale Verona n. 44/1999

A mio avviso, la questione più interessante che la sentenza solleva è quella relativa alla caratterizzazione del “sentimento religioso” ex art 166 r.d. 1238/1939 come meramente collettivo, con la conseguente esclusione di una sua connotazione individuale.
La ricorrente, in proposito, sottolinea il contrasto creatosi tra il nome a lei assegnato e l’esercizio della propria libertà di coscienza, suggerendo un interpretazione della suddetta nozione di “sentimento religioso” comprensiva di un’accezione individualista della stessa.
Tuttavia il tribunale non risulta essere di questo avviso, andando a negare marcatamente la possibilità di un interpretazione costituzionale della nozione al passo con i tempi, visione che invece sembra a mio avviso preferibile.
Di fatti, lo studio della giurisprudenza costituzionale (vedi Corte Cost. sent. n. 117/1979) formatasi attorno all’art 19 Cost. dimostra che, nonostante l’assenza esplicita di un riferimento alla “libertà di coscienza”, intesa come libertà di autodeterminazione in materia etico religiosa, essa vada comunque ricompresa nella garanzia dell’art 19 Cost.
Di conseguenza non si vede come la nozione di “sentimento religioso” non possa essere intesa in maniera tale da ricomprendere non solo la libertà di opinione in materia religiosa, ma anche la libertà religiosa individuale, alla luce di un interpretazione che tenga conto della più recente giurisprudenza relativa all’art 19 Cost. Adottando questa prospettiva il nome Immacolata potrebbe essere ritenuto lesivo della libertà di coscienza individuale della istante( ricompresa nella nozione di “sentimento religioso”), andando così a giustificare la sostituzione con il nome proprio Claudia.

Un altra argomentazione, forse più azzardata, che l’istante avrebbe potuto invocare a suo favore, è quella relativa ad un consolidato orientamento della giurisprudenza CEDU , ad avviso del quale la libertà di coscienza porta con sé anche il diritto di ogni persona a non vedersi obbligata ad agire in modo tale che si possa trarre la conclusione che essa ha determinate convinzioni (in questo caso religiose). Nonostante la giurisprudenza faccia riferimento ad “azioni” causanti la convinzione di appartenenza ad un certo credo, forse anche la mera detenzione del nome potrebbe essere invocata come origine dello stesso convincimento, potendo così essere ritenuta una violazione della libertà di coscienza stessa.

Intervento di uno studente

Correzione e commento del Prof. Cimbalo


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