Il sostentamento del clero
L’attuale sistema di finanziamento dei ministri di culto di religione cattolica, affonda le proprie radici nel sistema beneficale, attuato fino al 1984 e disciplinato dalla legge 29 maggio 1855. Prima dell’emanazione del nuovo trattato concordatario, la Chiesa cattolica trovava il suo sostentamento nei “benefici”, ossia dotazioni patrimoniali amministrate dai titolari degli uffici e che, contestualmente, comportavano degli introiti. Per fare un esempio, il parroco di una chiesa poteva godere delle rendite provenienti dall’affitto di un’abitazione appartenente a questa massa patrimoniale di cui disponeva; il beneficio per l’appunto. Tuttavia, il suddetto complesso di beni e i relativi redditi potevano non essere sufficienti a garantire ai ministri di culto un’esistenza “dignitosa”. Pertanto lo Stato, in questo caso, integrava la loro retribuzione attraverso il cosiddetto “supplemento di congrua”, che, allo stesso tempo, garantiva ai ministri di culto meno abbienti un livello minimo di sostentamento. L’ammontare dell’integrazione economica era stabilito per legge. In questo modo tutti i ministri di culto avevano diritto ad uno stipendio pari ad una cifra stabilita per legge ma, al tempo stesso, ve ne erano di così ricchi da non aver bisogno del supplemento di congrua in quanto percepivano già un cospicuo reddito, superiore al minimo, grazie alle rendite dei benefici. Questo sistema tramontò nel 1984, sebbene una ventata di cambiamento era già stata percepita negli anni Sessanta dopo il Concilio Vaticano II convocato da Giovanni XXIII. In questa sede, infatti, si era discusso circa il tentativo di infeudazione dei ministri di culto da parte dello Stato, che, pagandoli, esercitava su di essi un controllo. Ecco perché era stata avanzata la proposta dell’autogoverno delle risorse di cui disponeva la Chiesa. Ad ogni modo, la disciplina del sostentamento del clero viene attualmente stabilita dalla legge 222/1985. Innanzitutto tale legge ha disposto trasferimento e centralizzazione dei patrimoni dei benefici canonici presso gli Istituti Diocesani per il sostentamento del clero, organizzazioni a loro volta coordinate dall’Istituto Centrale per il sostentamento del clero. Con quello che si ricava (non trattandosi di altro che delle rendite percepite prima dai parroci), gli IDSC remunerano i ministri di culto. Parliamo di “remunerazione” intendendo come tale non un salario, ma una retribuzione idonea a garantire loro un congruo e dignitoso sostentamento. Un concetto diverso appartiene alle altre confessioni religiose, dove invece i ministri di culto percepiscono un vero e proprio salario a fronte di un rapporto di lavoro subordinato. Ma non basta; qualora i proventi del patrimonio non siano sufficienti, interviene, nell’integrazione della remunerazione, l’ICSC, ente ecclesiastico al quale fanno riferimento tutti gli IDSC e che gestisce il denaro proveniente da due canali: erogazioni da parte dei fedeli e quote dell’otto per mille. Questo sistema, interamente legificato e, quindi, legittimamente riconosciuto, lascia adito a non poche perplessità. Innanzitutto, quello che c’è da chiedersi è quanti siano in realtà i ministri di culto stipendiati dagli IDSC e quanti, invece, dallo Stato attraverso contratti di lavoro. Infatti, nel momento in cui vengono assunti presso strutture pubbliche (scuola, ospedali, carceri…), i rispettivi IDSC non erogano loro la remunerazione di cui abbiamo parlato, in quanto percepiscono un vero e proprio stipendio a fronte del contratto di assunzione. Emblematico è il caso della regione Sicilia, dove i ministri di culto stipendiati dal Ministero della Sanità sono circa un terzo del totale del personale delle 9 diocesi. In secondo luogo il trasferimento di proprietà dei patrimoni che viene effettuato tra ministri di culto e IDSC avviene senza il pagamento di tasse. In terzo e ultimo luogo, nel caso di controversia circa l’ammontare della remunerazione suddetta, il ministro di culto ha la possibilità di rivolgersi alternativamente a giudice civile e giudice religioso, essendo però questo presieduto dal vescovo che è lo stesso che ha deciso quanto egli è tenuto a percepire.
posso chiedere un chiarimento? ma IDSC, da dove prende i finanziamenti per procedere alla remunerazione? nel senso, il patrimonio di cui dispone consiste in tutto ciò che gli è stato devoluto dai vecchi benefici e in modo sussidiario interviene il ICSC per integrare le risorse del IDSC qualora non fossero sufficienti…è così?