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Crocifisso: ma quale simbolo neutro!

Anche se tardivamente rispetto alla discussione sviluppatasi a lezione, riporto un dibattito tutto italiano sul Crocifisso nelle aule che mostra come non abbia affatto una valenza neutra ma, anzi, sia considerato come simbolo identificativo dell’ordinamento!!

Si sta sviluppando un nuovo (e, permettetemi di dire, aberrante) concetto di laicità che considera, oramai, i simboli e le manifestazioni della religione  cristiana come elementi di identificazione nazionale,  tanto è che si è giunti a ritenere che “nell’attuale realtà sociale,  il crocifisso debba essere considerato non solo come simbolo di un’evoluzione storica e culturale, e quindi dell’identità del nostro popolo, ma quale simbolo altresì di un sistema di valori di libertà, eguaglianza, dignità umana e tolleranza religiosa e quindi anche della laicità dello Stato, principi questi che innervano la nostra Carta costituzionale”.

Queste parole non provengono da una conferenza della CEI, ma dalla ordinanza 1110/2005 del  T. A. R Regione Veneto nel celebre caso Lautsti.

Sono numerosi i riferimenti di giudici e dello stesso legislatore alla laicità di stato; ne sono esempi :
– Sentenza Corte Costituzionale n .203/89: “l’acquisizione dei principi del cattolicesimo al patrimonio storico del popolo italiano”.
– Art. 9, 2° co. della L. 121/ 1985 si prevede che “La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado”.
– Decisione 13/1991 Corte Costituzionale dove si sottolinea che “l’insegnamento di religione cattolica […] non è causa di discriminazione e non contrasta – essendone anzi una manifestazione, con il principio supremo di laicità dello Stato”.

Articolo scritto e redatto da Antonella Mucci



9 Comments

  1. rebecca.righi

    Lascio da parte l’affermazione del TAR Veneto, la cui veridicità dipende da quale sintesi si tragga dal cristianesimo, e dunque da un’operazione estremamente complessa, per cui forse un TAR non ha sufficiente competenza.

    Quanto invece alla s.n.203/89 Corte Cost., il riferimento mi sembra un (banale, direi) dato di fatto. L’acquisizione dei principi del cattolicesimo al patrimonio storico del popolo italiano è un fenomeno storico, al pari dell’acquisizione dei principi dell’Islam o dell’induismo al patrimonio storico del popolo egiziano o indiano.

    Neanche l’affermazione della legge 121/85 restituisce un concetto “aberrante” di laicità.
    Il riconoscimento del “valore della cultura religiosa” non depaupera, ma arricchisce al pari di qualunque cultura.
    Di nuovo, il contributo del cattolicesimo alla costruzione del “patrimonio storico del popolo italiano” è un dato storico (questo sì, davvero neutro: così è stato, a prescindere da giudizi di valore).
    L’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado, motivato dalle considerazioni che precedono e non obbligatorio, non mi pare un sintomo di confessionalità della scuola e delle istituzioni.
    Anzi, il ragionamento della Corte Costituzionale (decisione 13/1991) ne sottolinea il carattere di manifestazione della laicità dello Stato. Non -a mio parere- perchè il cristianesimo sia portatore di laicità, ma perchè la laicità è funzionale al godimento pieno dei diritti di libertà religiosa, che non solo sono espressione della persona, ma sono contributo alla formazione dell’uomo e della società.

    • Cara Rebecca, rispondo per gradi:

      1. Non metto in dubbio, come non l’ho messo mai in passato, che i principi del cattolicesimo abbiano caratterizzato la nostra società, ma di certo non sono gli unici… eppure vengono spesso considerati tali.
      In ultimo, una piccola postilla virtuale: in diritto poche cose sono banali.

      2. Il termine aberrante non sta a significare “depaperante”, sta a indicare una deviazione del normale significato di una espressione; per questa ragione ho detto “permettetemi di dire”, perché è una accezione che io intendo dare, da laica, alla laicità.

      3. In ultimo, rispondo dicendoti che mi trovi in pieno disaccordo perché l’insegnamento della religione cristiana ha dato all’Istruzione Pubblica una connotazione confessionale.
      Nel mio lungo percorso scolastico non ho mai ricevuto (certo, è una esperienza soggettiva, ma molto estesa!) un insegnamento sulle religioni, bensì sulla religione con lo studio più o meno approfondito degli scritti sacri.
      Chi aveva il compito di istruirmi a riguardo mi ha lasciato nello stato di ignoranza in cui ero.
      In secondo luogo non sono d’accordo sulla tua considerazione di contributo alla formazione dell’uomo e della società, è una visione che un laico e ateo (quale io sono) non può tollerare!! (e qua ritorniamo al discorso di “a questo punto nemmeno la scienza lo è”).

      Ti invito, come invito chiunque, a partecipare agli incontri e iniziative del Centro Studi Laicità.

  2. Studiamo a scuola per 13 anni religione e per 0 ore Diritto….ahahahahah…e c’è chi ha pure il coraggio di dire che è funzionale…ahahahahah. Dovrebbero mettere Diritto obbligatorio e religione farla fare ai preti in commissariato davanti ai loro adepti e alle forze dell’ordine (non si sa mai quello che può succedere in canonica oppure nei luoghi chiusi a riparo dallo sguardo del Signore).
    Come potete notare io sono moto maleducato e colgo l’occasione per dire una delle due cose che non mi piacciono di questo blog. Oltre al fatto di non poter dire parolacce, è l’approccio di quegli scrittori che sembra scrivano apposta per renderti il più difficile e lunga possibile la lettura. Ricordate che l’obiettivo di qualsiasi messaggio è quello di favorire la comunicazione, non di vincere un viaggio alle sezioni unite!

  3. matteo di benedetto

    Se hai problemi di comunicazione ed è per te necessario esprimerti mediante termini non appropriati rispetto alla stessa possibilità di favorire una amichevole comunicazione o alla possibilità di una sana convivenza civile, mi spiace.
    Lo stesso vale per il fatto che tu derida le posizioni altrui, soprattutto se argomentate. La ragione è al servizio della verità, come diceva anche sant’Agostino. Se la tua posizione a fronte di una argomentazione è ‘ho ragione io ahahah, perchè l’altro scrive troppo’, allora ti invito a riflettere sulla validità della stessa e a interrogarti sulla scelta degli studi giuridici [banale esempio: se sarai un avvocato e ti troverai a leggere centinaia, che sviscerano fino in fondo una certa questione, alle quali tu dovrai dare risposta per difendere il tuo cliente, cosa farai? risponderai ahahah? Mi scuso per il forte esempio, ma lo ritengo chiarificatore rispetto alla tematica evidenziata].

  4. Stefania

    Riflettendo sul tema dell’affissione del crocifisso o di altri simboli religioni cattolici in luoghi pubblici, mi è difficile scindere la questione che attiene ad un personale sentimento religioso da quella che invece è, o dovrebbe essere, una visione obbiettiva di tale dibattito sociale. Ciò premesso, anticipo già da subito che il mio parere sulla questione, potrebbe semplicemente essere legato ad un sentimentalismo nei confronti di quel simbolo che ha accompagnato un po’ tutta la vita di quei bambini nati in famiglie cattoliche (la maggior parte in Italia) che sono stati battezzati, hanno fatto la prima comunione, a prescindere dalla scelta religiosa che hanno deciso di intraprendere una volta adulti. Personalmente vedo il crocifisso come un simbolo di appartenenza, e attenzione, non di appartenenza religiosa. Sottolineo che potrebbe essere una cosa strettamente personale, ed evidentemente lo è visto il dibattito, ma vedo nel crocifisso dei valori condivisi, valori su cui si basa anche il nostro ordinamento. Ebbene ritengo che la prima analisi debba essere fatta sull’art. 8, primo comma, il quale stabilisce che “tutte le confessioni religiose sono egualmente libere dinanzi alla legge”. Questo è un principio notevole poiché stabilisce l’uguaglianza tra le confessioni religiose, ma non nel senso comunemente inteso di eguaglianza assoluta e paritaria, bensì nel senso di eguaglianza nella libertà di esercitare le attività di culto. Sarebbe come dire che tale norma dice: “Tutte le confessioni sono uguali dinanzi alla legge”, invece la norma afferma : “Tutte le confessioni sono egualmente libere dinanzi alla legge.” E’ una differenza sostanziale questa, poiché significa che l’eguaglianza in tal senso è relativa e qui mi ricollego all’art. 3. Per cui ritengo che questa norma permette alla legge di trattare le confessioni religiose in modo differente a seconda del radicamento nel territorio, della cultura e di altri elementi contingenti, storici e sociali. Il forte radicamento nel territorio italiano della religione cattolica rappresenta una realtà che non può essere sottovalutata o ignorata da un’uguaglianza assoluta, anche in vista della tutela che la Costituzione dà ad ogni confessione religiosa, la quale può esercitare il proprio culto liberamente. Concludo con una citazione di Ruffini,riguardo il principio di uguaglianza: “Il vero principio di parità non suona ‘a ciascuno lo stesso’, ma ‘a ciascuno il suo’.

  5. mari.cap

    Mi sento di dover rispondere all’ultimo intervento, e di dissentire su un punto:

    “ritengo che questa norma permette alla legge di trattare le confessioni religiose in modo differente a seconda del radicamento nel territorio, della cultura e di altri elementi contingenti, storici e sociali.”

    Lo scopo essenziale del principio di eguaglianza sostanziale, così come concepito nell’art 3,
    a mio avviso non è quello di garantire, come mi sembra suggerisca tu con questa frase, spazi fisici e mediatici, privilegi, o tutele proporzionali all’entità della presenza di una religione, o di una cultura in generale, su un territorio. Piuttosto l’art 3, e il primo comma dell’art 8, sono posti a garanzia di tutto ciò che è minoranza: la proporzione dovrebbe essere quindi inversa.
    Allo stesso modo va vista la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che a mio parere, utilizzando la dottrina del Margine di apprezzamento in ogni questione in ambito religioso, abdica al suo ruolo di massima garanzia delle minoranze.

    Se è vero che la crescita di una società dipende dalla sua capacità di confrontarsi con il diverso, con atteggiamento costruttivo, allora dobbiamo riconoscere che questo non potrà mai avvenire finchè la dialettica tra i vari culti (e culture) non sarà paritaria, e la parità non ci sarà finché lo Stato manterrà alla Chiesa determinati privilegi, finché la Chiesa farà da padrona, come unica proprietaria della Verità, sulle tematiche etiche, finché si continuerà a costruire un’immagine del diverso totalmente distorta al fine di caratterizzarlo come nemico. Uno stato che consente e favorisce tutto ciò, è uno stato che non ha a cuore la crescita della propria società ed è uno stato troppo poco lungimirante.

    • Stefania

      Ritengo di non essermi spiegata correttamente, poiché non mi riferivo a privilegi di alcunché. Penso al contrario che le diverse religioni, in base alla storia, alla condivisione culturale e ad altri fattori sociali, debbano essere trattate in modo differente ma ugualmente opportuno. Ritenendo che la norma permette alla legge di trattare le confessioni religiose in modo differente a seconda del radicamento nel territorio, giustifico la presenza del crocifisso come simbolo onnipresente in determinati luoghi pubblici, ma questo non esclude una tutela sull’esposizione di altri simboli. Credo nell’imparzialità del crocifisso affisso nei luoghi pubblici, poiché con lo stesso occhio di rispetto e solidarietà vedo possibile e giusto che una donna indossi il velo sul posto di lavoro, se lo ritiene, o che una ragazzina indossi il braccialetto kara a scuola, o che un uomo porti il pugnale kirpan al centro commerciale. Si tratta di simboli religiosi diversi e tutti meritevoli di tutela. Trattare in modo diverso, non vuol dire privilegiare un culto a favore di un altro. Significa dare uguale tutela in contesti differenti. Non a tutti i culti interessa esporre nei luoghi pubblici il simbolo del proprio dio. Se il cristiano vuole il crocifisso in tribunale, lasciamogli il suo crocifisso, così come lasciamo agli ebrei il Kippah, ai musulmani il velo e ogni simbolo religioso esistente che non sia contrario al buon costume (“ad ognuno il suo”). Io non ho parlato affatto di Chiesa, né ho legittimato il suo potere, né i suoi ingiustificati privilegi. Ho sottolineato, al contrario, che ci sono religioni più radicate di altre nel territorio italiano e quando non può passare inosservato. Le minoranze religiose meritano tutela e spero che in questo ambito la giurisprudenza faccia dei passi avanti, ma non per questo possiamo eliminare un simbolo religioso e storico su cui è basata la nostra identità. Non sarebbe preferibile accettare tutte le sfumature culturali e religiose che il mondo ci offre, anziché rastrellarle indifferentemente? Spero questa volta di essere stata chiara ed obiettiva.

  6. mari.cap

    Sei stata chiarissima ma come è stato detto oggi a lezione, l’errore che a mio avviso commetti è quello di mettere sullo stesso piano il diritto di un soggetto a indossare sul proprio corpo un indumento o un accessorio che richiama la sua appartenenza ad un determinato culto, con la presunzione (passami il termine) di un ordinamento che con una sua propria legge PRESCRIVE ad ogni istituto scolastico (pubblico) di affiggere un crocifisso in ogni aula.
    Qui non si sta mettendo in discussione neanche il diritto di una classe che, per scelta comune, accanto al planisfero e alla cartina dell’Italia sceglie di appendere al muro un crocifisso o un immagine di Padre Pio (tanto per dire).

    Ora, io nel commento precedente ho ritenuto necessario fare riferimento ai privilegi e al potere della Chiesa perché a mio avviso è proprio questo il problema: il nostro è uno stato che si definisce laico e democratico, e che si trova ad affrontare la delicatissima tematica dell’immigrazione e del multiculturalismo. Ma il nostro è anche uno stato che risente (ancora) di un’influenza abnorme da parte della Chiesa Cattolica, influenza che si esplica sicuramente e per forza di cose nella società civile (se la maggioranza, o comunque una grossa fetta della popolazione è cattolica, o afferma di essere tale, evidentemente “i fatti” della Chiesa, come i discorsi del Papa piuttosto che le iniziative della Parrocchia occuperanno per forza di cose pagine di giornali e servizi televisivi: è normale che sia così).

    L’influenza della Chiesa è pregnante però anche nella politica del nostro paese, e il fatto che, nel 2013, non si sia riusciti a dichiarare, se non incostituzionale perché palesemente in contrasto con il principio di laicità, almeno decaduta una norma del ventennio fascista che prevede che tra gli “arredi scolastici” sia inserito anche il crocifisso, francamente mi sembra una dimostrazione palese di questa “influenza”.
    Ed è per questo che nel commento precedente facevo riferimento al “potere della Chiesa” e ai suoi privilegi: proprio perché io credo che la persistenza della norma sul crocifisso è un vero e proprio privilegio concesso alla Chiesa.

    Rispetto al dibattito di questa mattina a lezione: ritengo che il commento del ragazzo che ha detto “troviamo un simbolo anche per loro, per esempio un quadro nero”, sia stato offensivo, non metto in dubbio la buona fede, ma ritengo che sia stato offensivo perché dimostra la presunzione per cui il non credere in un dio significhi necessariamente non credere in niente (quello si chiama nichilismo ed è tutt’altra cosa).
    Come detto prima, se in una classe, per esempio composta da 8 cattolici, 6musulmani e 5 ebrei, genitori e alunni decidono, insieme, “affiggiamo i simboli di questi culti”, Va benissimo! E’ un loro diritto sacrosanto (purché siano tutti d’accordo), ma è totalmente diverso che una legge GENERALE dello stato ponga un OBBLIGO del genere a TUTTE le scuole del paese.
    Spero di essere stata chiara e convincente 🙂

  7. Stefania

    Quindi, se ho compreso bene, non sei dell’idea che il crocifisso non ci debba essere a prescindere, ma che la sua presenza non debba essere imposta dalla legge..guarda mi ritengo una persona aperta al dialogo e sempre pronta a confrontarmi, per cui ammetto con piacere che mi hai dato uno spunto interessante su cui riflettere!

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