Italiani razzisti per tradizione
La scorsa settimana il num. 1707 dell’Internazionale, settimanale d’informazione italiana che riprende articoli della stampa straniera, apriva la pag. 29 con il seguente titolo: “Italiani razzisti per tradizione”. L’articolo in questione, nella sua versione originale in lingua inglese, è stato pubblicato sul quotidiano britannico The Guardian a cura di Maaza Mengiste, una scrittrice Statunitense. L’autrice, prendendo spunto dalla descrizione del trattamento riservato al Ministro dell’Integrazione Cécile Kyenge e proseguendo con un breve resoconto della (tentata) colonizzazione fascista di alcune zone dell’Africa settentrionale, ha posto criticamente l’attenzione su come l’identità collettiva dell’Italia sia stata costruita con cura e su come gli Italiani, in fondo, siano un popolo dalle tendenze essenzialmente razziste ( o come da essa definito di “non” brava gente).
Premetto che personalmente ritengo molto costruttivo leggere e riflettere su come il resto del mondo guardi noi Italiani (in primis la nostra situazione politico-economica, più attuale in questo momento storico, ma anche, non meno importante, quella sociale e culturale), se non altro perché la stampa nazionale non offre sempre notizie di qualità e, soprattutto, non le espone con l’equilibrio e la neutralità necessari affinché ogni cittadino possa rifletterci e sviluppare un proprio pensiero critico.
Venendo al punto, le domande che mi sono rivolta nel leggere tale articolo e che ora rivolgo a voi, colleghi, sono le seguenti: siamo noi, popolo Italiano, effettivamente pronti ad accettare che ai vertici della nostra politica, ai vertici delle nostre Istituzioni, siano ormai presenti rappresentanti di diversa etnia, razza e religione? Le critiche avanzate da taluni partiti politici sono critiche rivolte allo specifico operato del Ministro oppure sono rivolte solo alla sua persona, simbolo di una nuova generazione costituita non più solo da “Italiani” ma anche da immigrati e figli di immigrati?
Ritengo che ognuno di noi abbia il diritto di schierarsi a favore della fazione politica che sia più confacente ai propri ideali, così come è un diritto esprimere il proprio assenso o dissenso su un dato progetto di legge o su di una futura legge, ma ritengo del tutto contrario ai principi di laicità (oltre che di uguaglianza) offendere una “persona” facendo leva sulla sua etnia, razza o religione. Abbiamo tanto esaltato l’elezione del Presidente Obama come primo presidente afroamericano nella storia degli Stati Uniti d’America (prima ancora di esprimere un valutazione sulla sua appartenenza al partito Democratico), ed ora al di là dell’appartenenza politica chiamiamo orango tango e prostituta un nostro Ministro solo perché di origine congolese? Sinceramente mi sembra un po’ paradossale tutto ciò, non credete?!
Articolo scritto e redatto da Alessia Funari
Talvolta la civiltà cresce perchè sospinta dagli eventi. La Costituzione è stato un evento giuridico che sicuramente non trovava pronti gli italiani; nessun problema: la Costituzione ha esercitato una funzione normativa sulle coscienze dei cittadini, immature su moltissimi punti (forse non ultimo la libertà religiosa).
Sono effettivamente pronti gli italiani ad accettare che ai vertici della nostra politica, ai vertici delle nostre Istituzioni, siano ormai presenti rappresentanti di diversa etnia, razza e religione? Pronti o no, gli italiani devono indossare gli abiti stretti che la Costituzione impone (in questo caso l’irrilevanza dell’etnia, della razza e della religione ai fini dell’attribuzione di una carica istituzionale).
Quegli abiti stretti daranno forma ad una coscienza più ampia, e quello che ad alcuni oggi pare strano diventerà la normalità.
Tanto più che non mi sembra maggioritaria la fascia di popolazione che non riesce a digerire la novità. È chiaro che nei telegiornali e sul web le posizioni xenofobe ricevono grande visibilità.
Tuttavia un sondaggio dell’Istituto Piepoli pubblicato da Sky Tg24 e dal quotidiano La Stampa (17lug) indica che il ministro Kyenge ha il 54% della fiducia degli intervistati, al vertice dei ministri elencati. Chissà che l’incivilità scandalosa di alcuni non risvegli la civiltà di altri.
Sarebbe opportuno che gli italiani ricordassero i milioni di migranti che hanno lasciato questo paese per gli Stati Uniti, l’America latina e l’Australia. Sarebbe bene che ricordassero di avere subito la schiavitù in Brasile, la quarantena a Long Island per entrare negli Stati Uniti, il lavoro forzato nello scavo del canale di Suez. Forse così guarderebbero con occhi diversi all’immigrazione in Italia oggi.
Siamo in anni in cui un afroamericano è il capo dello stato più potente del pianeta, in cui molte donne occupano posti di potere, in cui omosessuali e transgender possono dimostrare con orgoglio il loro io, e, da qualche parte nel mondo, possono sposarsi e avere dei bambini; anni in cui la libertà di pensiero e di stampa ha raggiunto l’apice, perchè chiunque abbia un computer può gridare cosa pensa, anni in cui ogni notizia può rimbalzare all’istante dall’altra parte del mondo, e in cui le nuove ondate di costituzionalizzazione, e le loro derive non proprio democratiche, ci vengono raccontate da smartphone e da youtube;
anni in cui il Papa scrive con gli hashtag.
50 anni fa, anche meno in certi casi, tutto ciò sarebbe sembrato pura fantascienza, al pari di un romanzo di Bradbury o di Orwell.
Eppure, nonostante i progressi enormi fatti, oggi, in Italia, in molte, troppe situazioni, io noto un’involuzione. Complice forse la crisi economica, che incoraggia strade brevi e all’apparenza facili (penso ai talent show, o ai vari grande fratello e simili) per la realizzazione personale, si evidenzia un abbassamento del livello culturale, a mio avviso, preoccupante. E tale fenomeno sta investendo ogni ambito, dalla tv alla politica (si pensi al fantomatico tunnel dei neutrini della Gelmini), passando per la vita di ogni giorno.
Io, personalmente, tendo a ricercare la causa di ciò nelle “rapine” a cui è soggetta, inerte, l’istruzione pubblica.
Avendo questa visione, forse per alcuni troppo negativa, dell’Italia, in tutta sincerità devo ammettere di sorprendermi molto poco sia degli appellativi assegnati al ministro Kyenge, sia dello spazio che simili atteggiamenti xenofobi e razzisti hanno all’interno dell’informazione. E mi sorprenderei molto poco anche se molti diplomati, sentendo Long Island, non pensassero ad altro che a un cocktail.
Gli Italiani sono democristiani, altro che razzisti. Criticano tutto e tutti e non gli va mai bene niente, neanche i loro vicini di casa.