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Concordato del 1984 verso l’ora di religione facoltativa.

Il risveglio della società civile che si confronta con il mondo della scuola in un mutato contesto istituzionale porta inevitabili spinte di rinnovamento. La presenza della Costituzione del 1948 e la difficoltà applicativa del Concordato del 1929  a fronte di una società ormai mutata esortano ad esortano una modifica di quest’ultimo attraverso ripetuti ricorsi al giudice da parte della stessa società. Anche la stessa Chiesa cattolica sente la necessità di rinnovare il Concordato per salvarlo dalla decadenza che colpisce buona parte del suo contenuto. Il percorso del nuovo concordato è lungo e difficoltoso sia per le incertezze politiche sia per la stessa Commissione composta quasi totalmente da una quasi totalità di cattolici. Si ha riscontro di ciò perché nella bozza del ’69 rimane l’istituto della dispensa, rimanendo intatta l’obbligatorietà dell’insegnamento della religione nella scuola pubblica che anzi viene estesa alla materna. Appare chiara subito la distanza tra la Commissione e la società civile nell’operato di modifica del Concordato che verrà poi a scontrarsi con l’azione di Comitati che si costituiscono nella società in essa organizzatiSi cerca invano di imporre la giurisdizione statale sull’insegnante di religione. [esplicitare il concetto]

Nel 1977, più chiaramente che nel 1976, si conferma così uno scenario in cui il genitore deve decidere se avvalersi di un insegnamento di religione “istituzionale” o uno “parentale” lasciando spazio ad eventuali intese con altre confessioni religiose. Tale scelta si basa sul convincimento che la religione deve far parte del bagaglio culturale dello studente. Tale dialogo viene interrotto quando l’art.36 viene portato davanti alla Corte Costituzionale per opera dei comitati. Si nota il ricorrente utilizzo da parte della giurisprudenza dell’art. 700 c.p.c. per ottenere ordinanze cautelari che rendano possibile l’immediato esercizio della libertà di coscienza.
Nel 1978 viene riconosciuto l’insegnamento di religione come materia ordinaria. Il cui insegnamento viene assicurato in parità di condizioni con le altre materie. Si garantisce il diritto di ricevere o meno tale insegnamento attraverso la compilazione di un’apposita domanda dell’autorità scolastica.

Nel 1982 si rivedono i programmi di religione e l’organizzazione di tale insegnamento nella scuola pubblica, si considera contrario ai fini pedagogici l’insegnamento della religione nella materna e non c’è ancora chiarezza sulla posizione dell’insegnante di religione. Un punto di tale bozza è chiaro: scompare l’insegnamento diffuso della religione. Questo passaggio è dovuto alle novità costituite dall’ dellarticolo 9 dell’Accordo e dalla stipulazione dell’intesa con la Tavola Valdese concomitante al Concordato. Le garanzie richieste dai Valdesi sono: eliminazione dell’insegnamento diffuso della religione e delle pratiche di culto nella scuola pubblica e l’attenzione nel collocamento nell’orario di tale insegnamento per non discriminare chi non se ne avvale. Punti che verranno ripresi da tutte le confessioni che firmeranno successivamente intese.
A rimescolare le carte ci pensa l’intesa stipulata tra il Ministro pro tempore Falcucci e il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, all’epoca Poletti, che considera obbligatorio e curriculare tale insegnamento. A seguito di tale intesa il governo si impegna a costituire insegnamenti alternativi per offrire così agli studenti una pluralità di opzioni. La società civile risponde con la formazione del Comitato Nazionale Scuola e Costituzione allo scopo di controllare e favorire la corretta applicazione del Concordato. Tale comitato risponde impugnando davanti al giudice il dpr che recepisce l’intesa e la circolare che segue tanto da scatenare un contrattacco da parte del ministro che annualmente modifica le circolari allo scopo di rendere inefficace tale ricorso. Tale azione viene portata davanti al TAR del Lazio e poi ad opera del Ministro davanti al Consiglio di Stato il quale però con una maldestra argomentazione dà ragione al secondo. Infatti secondo tale
ragionamento il supremo organo di giustizia amministrativa dà una lettura del Concordato basandosi sul diritto-dovere degli studenti ad osservare il medesimo orario scolastico rendendo quindi l’insegnamento di religione una materia curriculare da considerare alternativa, e non facoltativa , rispetto alle altre attività organizzata dalla scuola. Trasformando in realtà il timore di chi considera tale insegnamento facoltativo.
Dopo ripetuti tentativi di modificare tale orientamento risultati inefficaci si giunge a punto di svolta. Il pretore di Firenze rinvia alla Corte Costituzionale art. 9.2 dell’Accordo di Villa Madama e l’art.5.b.2 del Protocollo Addizionale per violazione degli art. 2,3,19 della Costituzione. Questa volta la Corte non si tira indietro e con la sentenza interpretativa di rigetto 203/1989 inserisce la laicità tra i principi supremi del nostro ordinamento restando però incerta sulla traduzione esplicita di tale principio. Tale specificazione non si fa attendere poiché il ministro della P.I. continua ad applicare le argomentazioni del Consiglio di Stato fornendo i presupposti per un’ulteriore decisione della Corte. Tale decisione arriva ed è la 13/1991 che specifica il diritto di chi non si avvale dell’insegnamento di religione di uscire dall’edificio scolastico.

Elaborato di  Gianluca Baccarini


1 Comment

  1. Giovanni Cimbalo

    Il contenuto è ineccepibile, la ricostruzione corretta la forma va meglio curata
    GC

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